SEMINARIO DI “GIURIMETRIA COSTITUZIONALE” TENUTOSI IN ROMA PRESSO LA SEDE DEL CNEL. TESTO DELL’INTERVENTO DI CLETO IAFRATE

 

ROMA, 16 GIU 2016 – PUBBLICHIAMO DI SEGUITO IL TESTO DELL’INTERVENTO DI CLETO IAFRATE AL SEMINARIO DI “GIURIMETRIA COSTITUZIONALE” TENUTOSI IN ROMA PRESSO LA SEDE DEL CNEL.

 FOTO SEMINARIO

Roma, 10 giugno 2016, Parlamentino di Villa Lubin, sede del CNEL.

Nei giorni scorsi in Roma, presso il Parlamentino di Villa Lubin, sede del CNEL (Consiglio Nazionale Economia e Lavoro), si è tenuto il Primo Seminario di GIURIMETRIA COSTITUZIONALE, sul tema “Attuazione della democrazia costituzionale per superare la crisi”. Tra i relatori anche il nostro amico Cleto Iafrate, membro del Consiglio direttivo dell’ARDeP (Associazione per la Riduzione del Debito Pubblico), con un intervento dal titolo “Ipotesi di una patrimoniale con ‘aliquota personale congrua’. Dalla progressività orizzontale alla progressività verticale”.

Di seguito il testo del suo intervento.

Mi chiamo Cleto Iafrate e sono un membro del consiglio direttivo dell’Associazione per la Riduzione del Debito Pubblico.

Il Presidente dell’ARDeP, il Prof. Pasquale Moliterni, che ci saluta, oggi è impegnato in un convegno all’Università di Cosenza pertanto ha delegato me ad intervenire a questo seminario.

Come tutti sanno, l’ARDeP è un’associazione di volontariato composta da cittadini che hanno in comune la sensibilità al problema del debito, cercano di segnalarne il pericolo e di offrire il loro contributo di idee per favorirne la riduzione.

L’ideatore e fondatore dell’associazione è il Prof. Luciano Corradini, il quale nel settembre nero del 1992, in un periodo particolare in cui lo Stato rischiava la bancarotta, decise di decurtarsi parte della retribuzione a vantaggio del debito pubblico. E per un anno e mezzo versò all’erario il 10% del suo stipendio di docente universitario.

Lo scopo di quella iniziativa, spiegato in una lettera al presidente Amato, era quello di denunciare le conseguenze nefaste dell’evasione e dell’elusione fiscale e richiamare i politici a una gestione più attenta e responsabile del bilancio statale.

L’ARDeP, sin dal 1993, ha concentrato la sua attività intorno a tre assi:

– la formazione;

– le riforme fiscali e strutturali;

– il risanamento del debito.

  1. In relazione al primo punto, l’associazione ritiene che in Italia la percezione dei rischi connessi all’aumento del debito pubblico sia del tutto insufficiente rispetto alle reali dimensioni del problema. Per questo si impegna a promuovere l’informazione e la cultura sul debito pubblico sviluppando sinergie tra dicasteri e società civile, per un nuovo “patto sociale” tra Istituzioni e cittadini. Un patto che rilanci la partecipazione democratica, la fiducia istituzionale e la responsabilità sociale e civile.

Il problema del debito richiede un complesso d’interventi sul piano informativo, educativo, economico e politico, in vista della sua riduzione.

  1. Per quanto attiene alla questione delle riforme fiscali, l’ARDeP ritiene che l’evasione si possa combattere anche attraverso l’attivazione di un contrasto di interessi tra il consumatore e il venditore di beni, tra l’erogatore e il fruitore di servizi. Oggi invece esiste una coincidenza di interessi tra consumatore e venditore: entrambi possono risparmiare se la transazione di denaro avviene “in nero” (ciò però comporta l’evasione dell’IVA e delle tasse sulle imprese).

Se il sistema fiscale consentisse a ciascun contribuente di dedurre tutte le spese sostenute, come avviene già per le imprese, le tasse verrebbero pagate da tutti, ma soprattutto verrebbero pagate sulla effettiva capacità contributiva, come previsto dall’art. 53 della nostra Costituzione.

L’ARDeP, pertanto, propone una riforma fiscale che consenta di aumentare la possibilità di dedurre dalla base imponibile tutte le spese essenziali e necessarie.

Oggi le possibilità informatiche e tecnologiche ci consentono di fare ciò. Se è stato possibile all’amministrazione finanziaria inserire nella dichiarazione precompilata le spese mediche, quelle sanitarie e quelle sostenute per le ristrutturazioni edilizie, allora sarebbe possibile inserire anche quelle sostenute per l’acquisto di tutti gli altri beni e servizi necessari al soddisfacimento dei bisogni primari. Insomma, riteniamo che una corretta determinazione della base imponibile non possa prescindere dalla considerazione di queste spese.

A tal proposito, è giusto il caso di ricordare l’intervento in Assemblea Costituente dell’Onorevole Salvatore Scoca, nel corso della seduta del 23 maggio 1947: «Non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere».

  1. Prima di procedere alla presentazione della proposta ARDeP per risanare il debito, che è l’oggetto del mio intervento, intendo fare una breve premessa utile per introdurla.

Nell’ultimo ventennio il debito dello Stato italiano è più che raddoppiato, ha ormai raggiunto quota 2.228 miliardi di euro, su cui paghiamo annualmente circa 70 miliardi d’interessi, finché lo spread rimane basso.

Nel corso degli stessi anni, però, alcuni soggetti economici, sottraendosi al pagamento delle imposte dovute, si sono arricchiti sfruttando l’inidoneità delle attuali norme tributarie a sottoporre a giusta tassazione i loro redditi e patrimoni; complice anche una normativa che non ha saputo contrastare nella giusta misura l’autoriciclaggio dell’evasione.

In base alle stime del rapporto 2016 dell’Istituto di Ricerca Eurispes l’economia sommersa in Italia varrebbe il 18% del PIL; cioè ogni anno sfuggono a tassazione circa 270 miliardi di euro.

Sull’evasione fiscale non ci sono dati certi, ma solo stime; l’unica certezza è che in Italia da decenni l’evasione è 11 cifre.

Si stima, inoltre, che per alcune categorie di contribuenti, l’evasione sia pari addirittura all’80% del reddito totale prodotto.

In realtà, proprio il mancato incasso di questi denari comporta un eccesso di pressione fiscale per i cittadini onesti.

Ci si chiede. Come sono stati utilizzati, nel corso degli anni, i redditi sottratti all’imposizione?

Una parte sono stati tradotti in consumi, una parte investiti in attività economiche, una parte trasformati in patrimoni mobiliari e immobiliari.

La ricchezza netta delle famiglie italiane, cioè la somma di attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e di attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.), al netto delle passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.), qualche anno fa ammontava a circa 9.000 miliardi di euro, ben 4 volte il debito pubblico; tuttavia questa massa di ricchezza non è equamente distribuita, pare che il 50% sia finito nelle mani del 10% delle famiglie.

Stando così le cose, l’introduzione di un’imposta patrimoniale senza un preventivo accertamento circa la reale provenienza dei patrimoni, rischia di diventare un’ulteriore beffa all’interno di un sistema fiscale già strutturalmente ingiusto.

Sarebbe, infatti, inaccettabile una imposta patrimoniale che preveda una medesima aliquota per un grande patrimonio accumulato grazie ad artifizi evasivi ed elusivi ed un patrimonio di pari importo derivante da redditi regolarmente denunciati al fisco e accumulato con decenni di lavoro e di onesto risparmio. Metterli sullo stesso piano impositivo sarebbe iniquo e violerebbe un principio fondamentale del nostro ordinamento, quello della progressività in ragione della capacità contributiva, di cui all’articolo 53 della Costituzione.

Alcuni patrimoni, infatti, sono netti, nel senso che sono al netto delle imposte versate; altri patrimoni invece sono lordi, cioè sono al lordo delle imposte non versate e autoriciclate. Pertanto, “non si possono fare di tutti i patrimoni un fascio”; dietro ad ogni patrimonio c’è sempre una persona fisica con i suoi valori, una sua identità etica e morale e un suo codice di onestà.

Come procedere allora in attuazione del già citato articolo 53?

Se la parola “equità fiscale” ha un senso, occorre un “atto di giustizia ripartiva”: bisognerebbe anzitutto recuperare i soldi dell’evasione.

L’ARDeP propone un’imposta patrimoniale straordinaria sui grandi patrimoni (mobili e immobili) da destinare alla riduzione del debito pubblico. Tale proposta – denominata APC, che sta per ‘Aliquota Personale Congrua’ – mira a stabilire per ciascun contribuente una ben calibrata aliquota d’imposta mettendo a confronto il patrimonio detenuto dal nucleo familiare con i redditi dichiarati al fisco nel più lungo arco di tempo consentito dal sistema informativo dell’anagrafe tributaria (l’intera vita lavorativa o comunque gli ultimi 15 – 20 anni).

Ponendo in relazione il reddito medio dichiarato con il patrimonio mobiliare e immobiliare posseduto dal nucleo familiare, ovviamente tenendo conto delle successioni ereditarie, ben si potrebbe addivenire ad una percentuale di congruità tra ciò che si è dichiarato al fisco, e ciò che effettivamente si possiede.

Anche in questo caso la tecnologia ci aiuta; già esistono le banche dati che ci permetterebbero di fare ciò; si tratta solo di estenderne l’utilizzo. I dati potrebbero essere attinti dall’Archivio dei rapporti, la super banca dati concepita nel 2011 dal premier Mario Monti con il suo decreto “Salva Italia”; che impone a tutti gli operatori finanziari (Banche, Poste, ecc) di trasmettere ogni anno il saldo e la giacenza media di tutti i rapporti in essere relativi all’anno precedente. Ai fini della corretta individuazione del patrimonio posseduto dal nucleo familiare, si potrebbe fare ricorso ai dati già acquisiti da parte del sistema informativo dell’ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente), sulla cui base vengono erogate alcune agevolazioni sociali.

Mi riferisco, in particolare, al valore dell’ISP (Indicatore Situazione Patrimoniale) che, come noto, corrisponde alla sommatoria del patrimonio mobiliare e immobiliare di ciascun componente del nucleo familiare.

Adottando questo metodo, l’eventuale patrimoniale sarà equa, perché chiederà a ciascun cittadino di contribuire in modo molto diverso in base alla fedeltà fiscale dimostrata fino ad oggi. L’aliquota con cui tassare il patrimonio, infatti, non dipenderà solo dal valore del patrimonio, ma anche dal reddito dichiarato dal contribuente nel lungo periodo considerato.

I contribuenti onesti risulteranno “congrui” a questa verifica e saranno perciò esentati da ulteriori imposizioni fiscali. Gli evasori, invece, avranno un “tasso di incongruità” che sarà più elevato tanto più disporranno di patrimoni “ingiustificati”. E verrebbero, perciò, tassati con aliquote d’imposta crescenti al crescere di quell’indicatore (tasso di incongruità).

Lo stesso discorso andrebbe fatto per l’imposta di successione e donazione. Sarebbe opportuno prevedere un criterio di calcolo della stessa, basato sul medesimo principio. L’aliquota d’imposta dovrebbe dipendere dalla congruità dell’asse ereditario alla media del reddito prodotto e dichiarato in vita dal de cuius.

Allo scopo di chiarire il concetto, riporto due casi di manifesta incongruità, ripresi dall’ANSA di qualche anno fa:

Un pensionato padovano, trovato con 2,5 milioni in titoli ed azioni (i titoli producono interessi – quei 70 miliardi cui ho fatti cenno – quindi costi per la collettività) e proprietario di 42 fabbricati, chiedeva prestazioni sociali agevolate al Comune di residenza. È di oltre 6 milioni di euro il valore del suo patrimonio e dichiarava di essere nullatenente (ANSA – 15 febbraio 2012).

Un 60enne milanese risultava totalmente sconosciuto al fisco, ma nella realtà dei fatti era proprietario di una trentina di immobili dati in affitto a viados ai quali chiedeva importi esorbitanti, circa 1.000 euro al mese pagati in nero (ANSA – 18 marzo 2012).

Intendo dimostrare, dicendo ciò, che non solo è iniquo porre sullo stesso piano patrimoni di pari importo senza tener conto della loro provenienza, ma è ancora più iniquo porre sullo stesso piano gli interessi dovuti ai tanti risparmiatori onesti e modesti che hanno acquistato buoni del tesoro e quelli dovuti al pensionato padovano o al 60enne milanese. Quest’ultimo, nel corso degli anni, ha avuto la possibilità di autoriciclare circa 30 mila euro al mese, che hanno fatto crescere in maniera esponenziale il suo patrimonio.

Tornando alla proposta, in sintesi, si tratta di passare dall’attuale sistema di aliquote “impersonali” a progressività orizzontale ad un sistema di ALIQUOTE PERSONALI a progressività verticale, nel quale l’imposta dipenderebbe, oltre che dal valore del patrimonio, anche dal reddito medio dichiarato dal proprietario. Per esempio, l’IMU, con la quale ogni anno facciamo i conti, è il classico esempio di patrimoniale a progressività orizzontale in quanto l’imposta dipende esclusivamente dal valore dell’immobile.

Dopo decenni di evasione a dieci zeri, all’ARDeP, questa proposta sembra uno strumento che potrebbe dimostrarsi efficace, certamente non l’unico, per ridurre il debito pubblico; ma soprattutto utile per recuperare equità, solidarietà e coesione sociale, che negli ultimi tempi mi sembrano molto compromesse.

Mi piace concludere questo intervento con le parole del Presidente Mattarella, pronunciate nel suo messaggio augurale di fine anno: «L’evasione fiscale ostacola le prospettive di crescita e se venisse dimezzata si potrebbero creare oltre trecentomila posti di lavoro: gli evasori danneggiano la comunità nazionale e danneggiano i cittadini onesti. Le tasse e le imposte sarebbero decisamente più basse se tutti le pagassero».

Ringrazio tutti per l’attenzione.
Cleto IAFRATE

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