Roma, 5 giugno 2025 – (Pubblichiamo un estratto del seguente articolo da leggere nella sua completezza collegandosi al link indicato a fine paragrafo) – La guerra in ucraina, si trasforma sempre più in una guerra ibrida, tra vecchi metodi e nuove tecnologie, ecco perchè.
Mi accodo alla pletora di commentatori che hanno ripreso la definizione dell’Operazione Pavutyna (“Ragnatela”) come la Pearl Harbour russa e paragonato lo stratagemma adottato a quello del celebre Cavallo di Troia narrato da Virgilio nelle Eneide. Mi accodo perché è tutto perfettamente calzante per descrivere i fatti con toni enfatici. Le modalità con cui questo attacco è stato condotto sono state ampiamente divulgate; le riportiamo sommariamente allo scopo di commentarne gli aspetti tecnico-tattici e le implicazioni che questi potrebbero avere nell’evoluzione delle procedure operative dei conflitti.
Il 1° giugno 117 droni ucraini hanno colpito diverse basi delle forze aerospaziali sparse su tutto il territorio russo, prendendo di mira bombardieri a lungo raggio con capacità nucleare e aerei con per la gestione del comando e controllo e la sorveglianza del campo di battaglia.
Cinque gli aeroporti militari russi che hanno subito l’attacco: Belaya, nella regione di Irkutsk, Olenya nella regione di Murmansk, Diaghilev nella regione di Ryazan, e Ivanovo nella regione omonima e, secondo quanto riferito dal ministero della Difesa russo, anche l’aeroporto di Ukrainka, nella remota regione di Amur.
L’attacco, stando alle fonti disponibili, avrebbe causato la distruzione a terra di 41 aerei di diverse tipologie: dal Beriev A-50 ai Tupolev nelle versioni Tu-95, Tu-22 M3 e Tu-160.
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