Roma, 2 ottobre 2024 – (Pubblichiamo un estratto del seguente articolo da leggere nella sua completezza collegandosi al link indicato a fine paragrafo) – La storia ci riporta agli anni 90 quando in militari italiani hanno partecipato alla missione in kosovo, partiti con un cocktail di vaccini poi hanno assorbito l’uranio e altro presente nei territori kosovari.
I corpi dei militari parlano. Parlano i loro tumori che dentro hanno polveri di leghe metalliche di cromo, uranio o tungsteno, ma anche oro e argento. Parlano gli occhi di quel soldato contaminato dal cobalto che da castani caldi diventano grigi e poi blu. Blu freddi fino a morire. Li ha descritti la nanopatologa Antonietta M. Gatti che tanti soldati che si sono ammalati, di ritorno dalle missioni all’estero, ha conosciuto, periziandone la patologia, come prevede la nanomedicina forense, spesso vedendoli morire in una manciata di anni. La chiamano sindrome dei Balcani, ma non basterebbero i Balcani a spiegare i tumori, le leucemie e altre patologie che hanno segnato la vita di tanti militari.
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“IN KOSOVO 8 MILA MILITARI SI SONO AMMALATI E 400 SONO MORTI”
Il maresciallo Fabio Carlone, vittima dell’uranio e capo dipartimento vittime del dovere del sindacato SUM, perde un polpaccio quando scopre di avere un liposarcoma mixoide di II grado. Gli esami diagnostici non lasciano dubbi: quella massa che gli mangia i tessuti ha metalli come cromo, tungsteno, rame, zinco, vari calciti e dolomiti. Lo ha raccontato riprendendo dati e informazioni da fonti aperte: ‘Nelle prime missioni nel nord del Kosovo tra il 1997 e il 1998 siamo stati esposti ad agenti nocivi e senza protezioni. In quella zona sono stati sparati ordigni per 28mila tonnellate e missili da crociera. La coalizione che aveva impiegato uranio (inglesi e americani) avevano fornito ai vertici militari mappe con documenti ufficiali agli alleati sulle zone bombardate con uranio impoverito e intimato la massima cautela di non dispiegarsi in quelle zone né sostare. L’Esercito italiano a rotazione per almeno 7/8 anni ha occupato quelle aree: Pec, colpita da un missile Tomahawk armato con un penetratore a uranio; e ancora la zona di Banja alla periferia est di Pec, in una struttura dove si erano accampate le Tigri di Arkan dell’esercito paralimitare serbo colpito massivamente da vettori americani con cannoni da 30 mm, i primi disseminatori di uranio. Noi prendevamo quelle aree: 8mila militari si sono ammalati e 400 sono morti, la maggior parte in quei primi contingenti’. Nel periodo peggiore della sua vita Carlone deve affrontare ‘un muro di omertà, quello per cui molti soldati non denunciano. In principio avevo presentato istanza di riconoscimento di causa di servizio, ma il ministero, nonostante l’evidenza, la negò per ben tre volte. Non mi dà assistenza, mai una chiamata, ed è il protocollo che applica ancora oggi a migliaia di casi. Ragazzi abbandonati in un letto con una pensione da 700 euro al mese. Dopo sette anni di battaglie legali finalmente il riconoscimento di ‘vittima del dovere’– ha spiegato- ma con una clamorosa sottostima a cura della sanità militare del danno arrecato dal cancro. Quando il Ministero soccombe di fronte alla legge, cerca in tutti i modi di andare al risparmio, sottostimando- ha sottolineato- in barba a tutti i decreti e le tabelle risarcitorie previste il danno della vittima. Ecco quindi che la vittima del dovere, il reduce, il servitore dello Stato danneggiato ed umiliato, si ritrova costretto a presentare una nuova istanza presso i tribunali del lavoro per vedersi riconosciuti gli indennizzi previsti peri i danni e le sofferenze patite. Oltre ad offendere e rinnegare un proprio lavoratore, il ministero creando questa ragnatela burocratica e perversa di negazione, incide in maniera incisiva sulle casse dello Stato, facendosi carico di ingenti spese processuali oltre che intasare con inutili appelli le sedi di giustizia in ogni regione italiana’.
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