Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito. Audizione del Col. Ruolo d’Onore Carlo Calcagni

 uranio impoverito per articoliMercoledì 30 marzo 2016Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell’utilizzo dell’uranio impoverito.

Scritto che ha consegnato alla commissione parlamentare d’inchiesta durante la mia audizione affinché possa essere utile ai tanti colleghi che non hanno ancora ottenuto il giusto riconoscimento della dipendenza della causa di servizio per le patologie contratte in particolar modo nei teatri di guerra dove è stato utilizzato questo tipo di munizionamento di cui erano già noti i danni “certi” sulla salute.

SEGUE AUDIZIONE DEL COL. CARLO CALCAGNI.

Buongiorno,

dovrei dire di essere il Colonnello Carlo Calcagni ed invece sono una persona gravemente malata non per una fatalità:

Quotidianamente, per contrastare o per lo meno attenuare i danni legati all’intossicazione e alla contaminazione da uranio impoverito dei miei organi e alla loro compromissione tissutale, necessito di rigidissimo regime alimentare privo di alcuni elementi potenzialmente sensibilizzanti, (glutine, zucchero, proteine di origine animale, latte e suoi derivati).

Ogni giorno sono costretto ad assumere oltre 300 compresse e praticare 7 iniezioni di immunoterapia che devo auto-somministrarmi al mattino appena sveglio (7 cocktail di 25 sostanze ognuno per complessive 175 sostanze a cui sono sensibile: farmaci, alimenti, sostanze chimiche volatili, fumi, ecc.).

I medici mi hanno prescritto di sottopormi ad ossigenoterapia per grave ipossia tissutale per almeno 18 ore al giorno, di praticare ossigenoterapia in camera iperbarica, al fine di assicurare un sufficiente apporto di ossigeno ai tessuti, nonché di mantenere l’ossigenazione notturna con il costante supporto del ventilatore meccanico polmonare.

Ho, inoltre, la prescrizione di praticare quotidiana terapia infusionale, di effettuare sauna ad infrarossi per almeno 30 minuti al giorno e di sottopormi una volta a settimana a plasmaferesi (tipo dialisi) e trasfusioni ematiche al bisogno.

A ciò si aggiungano la difficile gestione delle frequentissime infezioni batteriche in ragione di una severa condizione di immunodepressione, le setticemie batteriche da infezione di uno dei due cateteri venosi centrali senza i quali non potrei praticare le quotidiane terapie in fleboclisi, nonché la non rara possibilità che si rendano necessari interventi clinico-chirurgici da eseguire in urgenza: tre anni fa ho subito un intervento molto invasivo ai polmoni per l’asportazione di tre noduli dalle dimensioni di circa 2,5 cm ciascuno e meno di due anni fa l’asportazione di un nodulo al collo.

Questi trattamenti quotidiani combinati hanno, peraltro, sinora consentito di ridimensionare l’urgenza già attestata nel 2009 che venissi sottoposto a trapianto allogenico di midollo osseo, come suggerito sia dal Centro di Ematologia di Perugia che da quello di Lecce, misura per la quale, tuttavia, ad oggi non è stato individuato alcun donatore compatibile, malgrado la tempestiva iscrizione nel Registro internazionale per la ricerca di midollo osseo.

E questo volendo sottacere i gravi problemi psicologici connessi alla mia condizione quotidiana di uomo ma, ancor di più, di padre che ha scoperto di aver trasmesso una delle mutazioni conseguenti all’intossicazione da uranio impoverito anche ai propri due figli.

Quella che in poche battute vi ho descritto è la mia guerra personale contro gli effetti devastanti di un nemico invisibile, un susseguirsi quotidiano di battaglie alla continua ricerca di un sempre precario equilibrio fra la cronicità della malattia e la salute psico-fisica necessaria per sopportarne le conseguenze, una faticosa lotta per contenere i danni prodotti da un aggressore subdolo e silenzioso, che mai cesserà di far prevalere su di me la sua forza distruttrice.

Questa è la storia con cui combatto ormai da quasi 14 anni, sin dal giorno in cui nel novembre 2002 mi venne diagnosticata una grave patologia, con il passare del tempo evolutasi in un quadro ad elevata complessità con interessamento di più organi e tessuti, condizione organica diagnosticata come “patologia multi-organo da contaminazione da uranio impoverito”, per esposizione avvenuta nel corso della missione militare in Bosnia-Herzegovina.

Anche a nome degli altri colleghi, che da anni portano su di sé e sulle proprie famiglie il carico di “veleni” dai quali non siamo stati protetti nell’esercizio del nostro dovere, voglio esprimere il mio rammarico quanto la rabbia rispetto al non essere stato sostenuto, proprio dalle Istituzioni che ho sempre servito, nei momenti in cui la malattia è divenuta progressivamente più ingravescente e debilitante, tanto da non consentirmi spesso, se non con estrema difficoltà e grazie al supporto dei miei cari, di riuscire a far fronte a richieste burocratiche e a giri a vuoto tra uffici ed amministrazioni.

In più occasioni noi Vittime ci siamo sentite “abbandonate” e ancora oggi spesso avvertiamo la distanza delle Istituzioni: molti malati non sono stati sottoposti a sufficienti controlli né prima delle missioni, né al rientro, né negli anni successivi. E non si dimentichi che gli effetti dell’uranio impoverito e delle nanoparticelle si verificano anche fino a venti anni di distanza nel tempo, nonostante possano manifestarsi entro tempi assai più brevi. Un gran numero di militari colpiti da gravi patologie è stato costretto a curarsi a proprie spese, non essendo stata riconosciuta la causa di servizio. Ma anche quando ciò è definito, una gran parte di noi non ha negli anni ricevuto l’assistenza dovuta, sia sotto gli aspetti sanitari, che sotto gli aspetti economici, e non da ultimo sotto gli aspetti etico-morali.

Contrariamente a quanto più volte sostenuto dalle Istituzioni, le vittime vivono e muoiono in un limbo di non riconoscibilità, e ciò fa tanto più male quando si pensa a come “il fattore di coesione dovrebbe essere nelle Forze Armate un fattore d’importanza fondamentale, specie nella tradizionale retorica delle Forze Armate che si considera come “una grande famiglia militare”. E’ triste constatare come in realtà tanti militari siano orfani”. Così recita il Com. Falco Accame in una sua intervista del 2006, presidente e ricercatore operativo (come egli stesso si definisce) dell’Associazione Nazionale Assistenza Vittime Arruolate nelle Forze Armate e Famiglie dei Caduti, che dal 1994 si occupa del problema dell’uranio impoverito in Italia.

Sono il Colonnello Ruolo d’Onore dell’Esercito Carlo Calcagni,

terminati gli studi di maturità classica, il 08.01.1988 mi arruolo in qualità di AUC del 130° corso presso la scuola di Fanteria e Cavalleria di Cesano di Roma, ufficiale di prima nomina alla Scuola Militare di Paracadutismo a Pisa. Nel 1989 partecipo alla selezione per pilota osservatore del 27° corso Piloti Osservatore di Elicottero, vinco il concorso e concludo il corso di pilotaggio classificandomi al primo posto, per cui su mia richiesta vengo trasferito all’unità operativa presso il 20° Gruppo Squadroni Aviazione Esercito “ANDROMEDA” di Pontecagnano (SA).

Dopo aver svolto varie missioni sia in territorio nazionale che internazionale, nel 1996 vengo inviato in missione in BOSNIA-ERZEGOVINA in qualità di pilota elicotterista. Ero l’unico pilota del contingente e svolgevo tutte le missioni necessarie con i piloti ed elicotteri Francesi, recuperando feriti e salme, durante il servizio MEDEVAC (Evacuazioni Medico-Sanitarie), attività che si svolgevano con scarse dotazioni sia operative che climatiche e senza dotazioni di precauzione e protezione (visto che i nostri vertici erano già a conoscenza dell’avvenuta contaminazione ambientale in seguito ai bombardamenti, proprio con munizionamento contenente uranio impoverito).

Grazie a tale attività ben svolta fuori area sono stato insignito di due elogi ed un encomio semplice, elementi poi risultati determinanti ai fini del riconoscimento della causa di servizio, sebbene non siano mai stati presi in considerazione dai vertici militari per un qualsiasi riconoscimento morale, visto che proprio a causa di quell’attività ho riportato le gravi conseguenze che mi accingo a descrivere.

Al rientro dalla Bosnia venivo periodicamente sottoposto solo ai controlli di idoneità al volo, risultando sempre idoneo, ma mai sono stato sottoposto al famoso “protocollo Mandelli” negli anni dal 1996 al 2000; di fatti proprio nell’estate del 2000 vengo contattato “d’urgenza” un venerdì per effettuare degli esami al C.M.M.L. di Caserta. Da questi esami si evidenziano elevati valori delle transaminasi, indici di sofferenza epatica, per cui la CMO di Napoli mi invia in convalescenza per 30 giorni. Al termine della convalescenza i valori sono leggermente rientrati, sebbene sempre superiori alla norma, eppure vengo fatto idoneo al servizio militare incondizionato.

Intendo sottolineare che, oltre le normali attività addestrative ed operative, ho sempre svolto attività sportiva ciclistica, sacrificando gran parte del tempo libero; partecipando alle competizioni con la maglia dell’esercito, ho sempre fatto ben figurare la Forza Armata vincendo 15 volte il titolo di campione Italiano assoluto e numerose gare Internazionali; anche in questo caso nessuno mai mi ha segnalato per un’onorificenza.

Nel frattempo, vengo selezionato per partecipare al corso di “Istruttore pilota di elicotteri”. Supero la selezione ed il successivo corso e vengo contestualmente trasferito al C.A.L.E. di Viterbo in qualità di istruttore pilota.

Nel 2002 avverto i primi segni di stanchezza ed in particolar modo un drastico calo delle prestazioni agonistiche. Il 10 ottobre 2002 vengo sottoposto al periodico controllo di idoneità al volo presso l’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica di Roma, risultando idoneo. Appena un mese dopo, nel corso di una licenza, mi sottopongo a controlli sanitari presso l’Ospedale di San Cesario di Lecce, ed è così che emerge un quadro clinico già grave, successivamente confermato dai medici dell’Ospedale di Galatina.

Da quel momento inizia il mio lungo calvario tra convalescenza e visite specialistiche in tutta Italia, nel totale silenzio e sostegno psicologico da parte sia del mio Reparto (C.A.L.E. – VT) sia del Ministero della Difesa. Si riscontrano inizialmente problematiche a livello epatico e disfunzione dell’ipofisi (con compromissione a livello tiroideo, surrenalico e gonadico), che a seguito di ulteriori accertamenti – biopsia epatica e midollare – vengono attribuiti alla presenza di metalli pesanti nel sangue e nei tessuti.

Nel 2005 mi viene riconosciuta la causa di servizio per l’insufficienza epatica e l’ipotiroidismo, con specifica correlazione, da parte della Commissione Medica Militare dell’Ospedale Militare di Bari all’esposizione ad uranio impoverito, avvenuta nel corso della missione in Bosnia-Herzegovina.

Nel marzo 2006, dopo altre numerosi ostacoli di natura amministrativa, vengo trasferito a domanda presso la Scuola di Cavalleria di Lecce.

Ma soltanto il 12 aprile 2007, ben due anni più tardi, pur trattandosi di pratiche che per legge hanno priorità, il Ministero della Difesa firma il decreto che mi dovrebbe identificare “VITTIMA DEL DOVERE”, ma a loro dire in realtà sono “SOGGETTO EQUIPARATO”.

Una sostanziale differenza nell’applicazione dei benefici, che risulta spesso ad interpretazione personale del dirigente di turno e che nel dubbio viene sempre applicata a danno della vittima, in contrasto a quanto stabilito dalla legge (la legge prevede, nel dubbio, l’applicazione in favore della vittima).

Proprio la missione di peace-keeping in Bosnia, infatti, mi aveva portato a stretto contatto con le polveri sottili e le nanoparticelle di metalli pesanti derivanti dall’esplosione di munizioni con uranio impoverito, facilmente inalabili, e con altre sostanze tossiche (piombo, acciaio, alluminio, berillio, antimonio, arsenico, bismuto, nickel, tallio, tungsteno, torio, platino, tellurio, gadolinio, cesio, mercurio) trovate all’interno del mio organismo.

Il decreto di riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio, emesso dal Ministero della Difesa, che mi riconosce un’invalidità permanente del 100%, gravi infermità per le quali mi è stato conferito il Distintivo d’Onore di Ferito in Servizio ed il Distintivo d’Onore di Mutilato in Servizio, riporta le seguenti diagnosi:

Sindrome Mielodisplastica Secondaria, con citopenia refrattaria e con marcata displasia multilineare;

– ipogonadismo ipogonadotropo secondario, con deficit dell’asse ipotalamo-ipofisario;

– epatopatia cronica;

– insufficienza renale cronica di grado lieve;

– riscontro di corpi estranei metallici non asportabili;

– encefalopatia tossica da metalli pesanti;

– disturbo post-traumatico da stress.

Proprio il disturbo post-traumatico da stress sembra essere irrilevante per la dott.ssa Turchet di PERSOMIL del Ministero della Difesa, che ritiene le mie infermità non di natura traumatica, considerando “infermità di natura traumatica” esclusivamente le mutilazioni del corpo e non quelle come la mia che in realtà sono molto peggio, perché sebbene non “apparenti” sono una vera e propria mutilazione della vita stessa. Non si comprende pertanto come mai la stessa dirigente riconosca la correlazione accertata tra uno stato di malattia e l’esposizione ad una situazione altamente stressante, prerequisito fondamentale della diagnosi di disturbo post-traumatico da stress, per poi negare tale correlazione quando si parla di origine traumatica della patologia. E si tenga presente che vi sono dati clinici concreti e riproducibili, primo fra tutti il riscontro di corpi estranei metallici non asportabili che sebbene di dimensioni ridottissime sono comunque schegge, perché come le schegge derivano da un’esplosione (motivo per cui sono stati concessi il Distintivo d’Onore di Ferito in Servizio e di Mutilato in Servizio).

La ferita che fa più male è proprio essere discriminati da chi dovrebbe tutelare e, al contrario, ritiene che questa condizione non sia di natura traumatica, perché, a suo dire, non è un trauma visibile. Chi ha subito una mutilazione si trova, suo malgrado, a dover gestire una perdita; ma una perdita, per quanto invalidante, può essere colmata, sostituita, rimpiazzata. Il vissuto di perdita è pesante ma elaborabile con minori difficoltà rispetto all’altra “mutilazione”, che perdita non è, ma è piuttosto essere “invasi” da un nemico invisibile, che giorno dopo giorno, inesorabilmente, inspiegabilmente e silenziosamente prende spazio e potere nel tuo corpo e nella tua mente: è percezione di sentirsi progressivamente “occupati” da minuscole particelle che impercettibilmente minano l’organismo dal proprio interno.

Io ho avuto modo di dimostrare il nesso causale tra infermità e servizio svolto, cosa che i colleghi deceduti non hanno potuto fare. Nonostante tali patologie siano state accertate dalla Commissione Medica Militare, valutate con parere favorevole dal Comitato di Verifica del Ministero dell’Economia e Finanze e riconosciute dal Ministero della Difesa quali dipendenti da causa e fatti di servizio, è necessario sottolineare che quest’ultimo non agevola la concessione dei benefici, anzi spesso sembra quasi cercare ogni cavillo burocratico pur di non concederli. Ad oggi esiste ancora una discriminazione tra le stesse Vittime, perché ci sono Vittime di serie A (quelle del terrorismo), Vittime di serie B (quelle del dovere), Vittime di serie X (quelle come noi, “cosiddette” soggetti equiparati). Quindi è assolutamente prioritario equiparare TUTTE le Vittime perché è assurdo ed inaccettabile che ci sia disparità di tutela e applicazione dei benefici; giusto per fare un esempio: al militare a cui è stata riconosciuta un’invalidità permanente del 100%, poiché considerato “soggetto equiparato” non viene applicata l’esenzione IRPEF sul trattamento di pensione, mentre nel caso di un militare considerato vittima del terrorismo a cui è stata riconosciuta un’invalidità anche “soltanto” del 2%, viene riconosciuta l’esenzione IRPEF sia sul suo trattamento di pensione sia su quello dei suoi familiari. Per non parlare degli assegni vitalizi che per le vittime del terrorismo vengono garantiti anche a tutti i familiari, non solo dei deceduti ma anche dei feriti, beneficio che per i “soggetti equiparati” viene concesso solo a vedove ed orfani.

Nel corso di questi 14 lunghi anni mi sono rivolto a numerosi specialisti, che hanno in carico il mio caso, in Italia e all’estero, che continuano a monitorare le mie condizioni di salute sottoponendomi a trattamenti poli-specialistici e di elevata complessità, considerata la compresenza di patologie multi-organo. Periodicamente mi sottopongo a ricoveri ospedalieri presso il “Breakspear Hospital” nel Regno Unito, unica struttura europea di altissima specializzazione nel trattamento della Sensibilità Chimica Multipla e di patologie correlate alla contaminazione da metalli pesanti. La documentazione sanitaria dell’ospedale inglese, prodotta negli anni, documenta ampiamente ed accuratamente le mie condizioni cliniche, progressivamente ingravescenti nella severità di espressione, il coinvolgimento sempre più cospicuo di organi e tessuti, la necessità di trattamenti specialistici combinati di elevata complessità; le biopsie e gli esami clinici e strumentali evidenziano una diffusa presenza di metalli pesanti tossici nei tessuti e nei liquidi biologici, con livelli di concentrazione eccezionalmente elevati, con valori superiori al livello massimo tollerabile.

Negli ultimi due anni la mia già severa situazione organica si è complicata con le diagnosi di cardiopatia da metalli pesanti, encefalite demielinizzante autoimmune di tipo cronico degenerativo ed irreversibile con sindrome atassica, polineuropatia sensitivo-autonomica, sino alla diagnosi di morbo di Parkinson ricevuta nel giugno 2015. Ad ottobre scorso, nel corso di un ennesimo ricovero presso il “Breakspear Hospital”, viene diagnosticato un aggravamento della malattia neurodegenerativa, con progressiva sofferenza neuromuscolare, ed i medici inglesi decidono di inserirmi in un protocollo di terapia sperimentale per il trattamento della Sclerosi Multipla.

Da anni ormai sono obbligato, per poter sopravvivere, a sottopormi a trattamenti quotidiani che nel tempo sono divenuti sempre più numerosi e complessi. Tali terapie, peraltro, come confermato dai medici che mi hanno in cura, non sono assolutamente da ritenersi risolutive ai fini di una guarigione; piuttosto hanno l’obiettivo di offrire, almeno potenzialmente, il mantenimento di un precario equilibrio delle condizioni organiche in atto.

E’ molto importante e bisogna darne merito a questa Commissione che, dopo anni, finalmente è riuscita a far affermare al Prof. Trenta che i danni alla salute dei militari impiegati in “particolari” teatri operativi sono causati dalle nanoparticelle.

Infatti il Prof. Giorgio Trenta, Presidente dell’Associazione Italiana Radio Protezione Medica, nell’audizione presso la Commissione Parlamentare d’inchiesta del 23 marzo 2016 <<http://webtv.camera.it/evento/9203>>, nella sua relazione afferma che: – Deve essere ricordata la responsabilità di tali proiettili, nel generare nano polveri, che sono in effetti la vera causa delle conduzioni di molte forme tumorali. In conclusione si può affermare, mutuando dalla criminologia, che l’Uranio Depleto è il mandante e le nano polveri l’esecutore”. Egli prosegue la sua relazione affermando che “sono proprio queste nano particelle che entrano attraverso le vie respiratorie ed in breve passano nel flusso ematico andando in circolo per poi raggiungere ogni organo e tessuto. E per chi pensa che le nano polveri generino solo tumori è bene precisare che sempre le nano polveri anche attraverso le vie olfattive possono raggiungere direttamente l’encefalo e causare danni permanenti al sistema nervoso centrale”.

Quanto affermato dal Prof. Trenta era stato già chiaramente descritto nel gennaio 2010 relativamente alla mia condizione dalla dott.ssa Jean Monro, direttore medico responsabile del centro di altissima specializzazione e ricerca “Breakspear Hospital”, che affermava quanto segue:

“Il signor Calcagni, durante la missione a Sarajevo, ha volato per 50 ore nelle zone dove i bombardamenti con proiettili all’uranio impoverito erano terminati poco prima del suo arrivo, nel dicembre 1995. Il particolare lavoro svolto dal signor Calcagni l’ha esposto gravemente ai rischi che hanno causato i danni alla salute “certamente” correlati con le enormi quantità di polvere che è stata sollevata ad ogni atterraggio e decollo dell’aeromobile, cosicché il paziente ha inalato ripetutamente ed intensamente le polveri sottili contenenti metalli pesanti sotto forma di aerosol contaminati dall’uranio impoverito e contenenti molti metalli pesanti. … Nel 2004 furono effettuate una biopsia al fegato, poi, nel 2006, al midollo osseo, ad opera della dott.ssa Antonietta Gatti, responsabile del Laboratorio di Biomateriali dell’Università di Modena – Reggio Emilia, nonché coordinatrice di un progetto europeo sulle Nanopatologie. Proprio la dott.ssa Gatti, per mezzo di analisi di microscopia elettronica a scansione e di spettroscopia a dispersione d’energia, mise in evidenza e dimostrò la presenza di diversi corpi estranei nei reperti bioptici del fegato e del midollo osseo del paziente, alcuni di tipo metallico (ferro, cromo, nichel, rame, alluminio, acciaio, zinco, piombo, mercurio), altri di tipo ceramico (calcio, carbonio). E’ nota la patogenicità di questi materiali, poiché tutti hanno un elevato grado di tossicità chimica e fisica. … Fu anche trovata un’elevata iperpiombemia, riconducibile all’esposizione all’uranio impoverito”. Più avanti nella sua relazione la dott.ssa Monro afferma: “Le indagini hanno dimostrato che la presenza di nitrosamine nell’organismo del paziente ha attaccato il suo DNA come addotti: esse sarebbero derivate dalle esplosioni e dalle altissime temperature delle esplosioni di ordigni bellici con uranio impoverito mentre stava lavorando per l’Esercito Italiano in Bosnia.

Già a quel tempo erano noti i danni “certi” causati dall’uranio impoverito ed i suoi derivati post-esplosione sulla salute umana; oggi non ci sono dubbi: infatti l’uranio impoverito rappresenta il materiale di scarto del processo di arricchimento dell’uranio. … Al momento dell’impatto, la temperatura generata dall’esplosione supera di molto i 3000 gradi, più che sufficiente perché la materia solida di qualsiasi metallo, su cui impatta l’uranio impoverito, passi direttamente allo stato gassoso. Lo stato aeriforme dura qualche minuto, prima di risolidificarsi ed assumere la forma di micro-particelle sferiche, non biocompatibili né biodegradabili (le stesse particelle metalliche di forma sferica che sono state ritrovate nel materiale bioptico di fegato e midollo del sig. Calcagni), che possono rimanere sospese nell’aria alcuni giorni prima di depositarsi al suolo. Queste polveri sono composte dal materiale colpito contaminato da uranio impoverito. … La vera causa scatenante delle patologie sono i metalli pesanti (contaminati da uranio impoverito), che sotto forma di detriti (piombo, mercurio, ferro, rame, acciaio, alluminio, ecc.), di dimensioni ridottissime, entrano facilmente nel corpo umano, sia attraverso l’apparato respiratorio, sia attraverso quello digerente, raggiungendo e depositandosi in ogni parte di esso. Sono così piccoli, infatti, da superare agevolmente le naturali barriere di difesa (ad esempio gli alveoli polmonari) e, attraverso il circolo sistemico e poi portale, raggiungere anche altri determinati organi bersaglio, soprattutto reni, fegato, midollo osseo e cervello. … Quando si accumulano, la loro capacità tossica, sia chimica che fisica, determina l’insufficienza d’organo, a cui si aggiunge l’azione mutagena della contaminazione da parte dell’uranio impoverito.”

Riprendendo quanto già esaustivamente descritto dalla dott.ssa Monro, solo poche settimane fa, con una relazione del 10 marzo 2016, il Prof. Giancarlo Ugazio, medico patologo di fama nazionale ed internazionale, con comprovata esperienza scientifica, di attività di ricerca universitaria e di insegnamento nel campo della tossicologia ambientale, aggiunge quanto segue:

“Riguardo alla nocività intrinseca dei metalli pesanti, in questi ultimi anni, la ricerca biomedica internazionale ha fatto passi da gigante, producendo una grande quantità di messe di pubblicazioni scientifiche autorevoli, anche e soprattutto per l’innesco di alterazioni molecolari del protoplasma cellulare che configurano sia lo stress ossidativo e/o lo stress nitrosativo, sia l’azione genotossica di tutti gli elementi sopra-elencati. … La stimolazione che i metalli pesanti esercitano sulla formazione di molecole nocive e sulle alterazioni genomiche sopra dette, ha una ricaduta sfavorevole per la salute. Si tratta di un profondo sovvertimento dello scenario metabolico dell’organismo colpito, più o meno gravemente diverso da quello normale congenito. … L’insieme di questi fenomeni potrebbe rendere l’organismo post-bellico del paziente tutt’altra entità fisiopatologica rispetto alla pre-bellica: da ciò potrebbe discernere l’unicità bio-sanitaria di Carlo Calcagni.”

Da quanto emerge dai succitati passaggi delle relazioni di esimi medici, ricercatori e studiosi di fama internazionale, il mio quadro clinico, nella sua complessità eziopatologica e di espressione, appare palesemente chiaro e definito. Eppure in questi anni di malattia, e ci tengo a precisarlo, malattia per causa di servizio, spesso mi sono ritrovato da solo, e ancora oggi mi scopro solo, a fronteggiare le annose lungaggini e gli ostacoli burocratico-amministrativi necessari per aderire come prescritto dagli specialisti alle cure mediche ed ottemperare ai loro piani di trattamento.

Tengo a precisare che, in diverse situazioni, sono stato affiancato dal personale dell’ufficio Affari Generali dello Stato Maggiore dell’Esercito, che tuttavia spesso è impotente dinanzi all’ostruzionismo del Ministero della Difesa (“non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire”).

Per anni, malgrado l’esistenza di chiare prescrizioni normative relative a quale Amministrazione e con quali modalità questa sia tenuta a sostenere le spese per l’assistenza sanitaria ed i relativi rimborsi, faticoso e ripetutamente deviato da inerzie burocratiche e rimandi di responsabilità è stato il percorso per ottenere quanto mi spettava di diritto.

Per non parlare dei risarcimenti: recentemente il T.A.R. della Toscana, esprimendosi sul ricorso presentato da un Sottufficiale del 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”, ha pesantemente stigmatizzato il comportamento del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, rilevando che le risposte sono identiche in tantissimi casi,  spingendosi ad affermare che sono “degli stamponi”, che tale comportamento causa un dispendio economico in quanto costringe i danneggiati a ricorrere alle vie giudiziarie; la sentenza riporta: –  “…in relazione al reiterato comportamento del Comitato di Verifica cause di Servizio, denotante grave negligenza nell’esame del caso, il Collegio trasmette copia della presente sentenza al Signor. Ministro dell’Economia e delle Finanze, Sig. Capo di gabinetto dello stesso Ministro, nonché in relazione al ricorrente contenzioso che il predetto comportamento del Comitato di Verifica ingenera, con i conseguenti esborsi a carico dell’erario per oneri processuali, maggiori somme per interessi e quant’altro – alla Procura Regionale Toscana della Corte dei Conti”.

Proprio per evitare spese inutili e soprattutto i lunghi tempi dei procedimenti giudiziari, tempo che noi non sempre abbiamo, invece di chiamare in causa il Ministero della Difesa, ho fatto una “semplice” richiesta di transazione bonaria nel 2005; avevo già ottenuto la dipendenza da causa di servizio e lo stesso Ministero aveva già quantificato la percentuale di invalidità permanente riportata; ma nonostante ci fossero tutti i presupposti per effettuare la transazione, ad oggi, dopo quasi undici anni, non ho ancora avuto risposta. In diverse occasioni ho cercato di avere informazioni in merito alla mia pratica; mi è stato sempre risposto che il Ministero della Difesa non effettua transazioni: cosa assolutamente falsa, e a tal proposito allego un elenco delle “transazioni” in corso o già definite proprio dal Ministero della Difesa.

E mi ritengo assolutamente fortunato, perché un numero notevole di colleghi non può oggi essere con noi a rendere testimonianza della propria storia di Vittima; il dolore della malattia e poi della perdita, resta nella vita di chi rimane, di chi era a loro legato, di madri, mogli, figli che prematuramente hanno dovuto lasciare, purtroppo spesso abbandonati dalle Istituzioni responsabili di questo dolore.

Ad un malato e alla sua famiglia andrebbero garantiti sostegno, sollievo, conforto; un paziente ha già un terribile “nemico” con cui combattere, non gli si può chiedere di lottare anche contro le Istituzioni, tanto più quando queste stesse si sono rese responsabili del suo male.

Già, perché questo nemico non mi è venuto incontro su un campo di battaglia, non ne ho potuto intravedere il volto, né le armi, né tanto meno ho avuto immediata contezza della sua potenza distruttrice se non quando era già dentro di me, nel mio sangue, negli organi, nelle cellule, nel mio DNA, quando era giunto ad invadermi nella più completa e devastante delle maniere, in modo assolutamente inarrestabile.

Ma questo “nemico invisibile” mi ha attaccato con la complicità di coloro dai quali avrei dovuto essere protetto, io come le altre Vittime del Dovere, colpevoli solo di essere stati fedeli servitori dello Stato, e di essere tuttora onorati, nonostante tutto, della divisa che indossiamo.

Ancora il Com. Accame precisa in un altro passaggio dell’intervista che “l’Italia era al corrente, anche prima delle operazioni in Somalia e nei Balcani, del rischio dell’uranio impoverito, non solo in relazione all’esplosione nell’impatto, ma anche nel semplice maneggio a freddo. … Di questo pericolo l’Italia era stata avvertita fin dal 1984 da parte della NATO. …Le misure di protezione sono state adottate con sei anni di ritardo rispetto agli USA. Non dimentichiamo infatti che le prime norme emanate dall’Italia sono quelle del 22 novembre 1999. Gli USA hanno emanato le norme sei anni prima e precisamente in occasione dell’operazione “Restore Hope” in Somalia (in data 14 ottobre 1993). Mentre i militari USA applicavano le norme, i nostri non le applicavano. Un fatto che meriterebbe un’accurata analisi per individuarne i motivi.”

Qualcuno in questi anni, pur ben informato della severità clinica della mia condizione e dell’appurato nesso di causalità tra l’esposizione all’uranio impoverito e alle nanoparticelle da esso derivanti e la patologia multi-organo a me diagnosticata, ha ripetutamente tentato di infangare la mia lotta, negando il mio stato di Vittima.

Vile ed ignobile è chi si erge a paladino dei deboli, vantando successi personali di vittorie in sede amministrativa e legale, dipingendosi amico, fratello di battaglie, vicino nella sofferenza e capace di sostenerne il peso e la fatica ai fini del riconoscimento di diritti già sanciti, per poi screditare chi, come me, quotidianamente vive affrontando sempre nuove sfide di malattia.

E non vorrei pensare che quanto professato e praticato da questa gente sia mosso da fini personali, da obiettivi di visibilità o, ancor peggio, da interessi economici e di potere, poiché speculare sul dolore altrui non fa certo onore.

Ipocrita è chi si propone a sostenitore dei diritti delle Vittime del Dovere, ma poi con ogni mezzo cerca di denigrare la mia sofferenza, negando anche pubblicamente ciò che in diversi ambiti sanitari e da più medici specialisti riconosciuti a livello nazionale ed internazionale, come in precedenza riferito, diagnosticato e dal diritto militare sancito.

Ancor più irragionevole se si considera il fatto che queste infamanti affermazioni giungono da chi Vittima del Dovere non è, e non è nemmeno familiare di Vittima. Come potrebbero mai queste persone, quindi, comprendere sino in fondo, non essendone state attraversate né in maniera diretta, né indiretta, un dolore così pervasivo e la fatica costante che ci impegna quotidianamente per sopravvivere?

Denigrando e screditando il sottoscritto, peraltro, si screditano gli operati di coloro i quali in questi anni hanno reso possibile pervenire ad una diagnosi della patologia multi-organo da cui sono affetto, al suo trattamento e alla necessità di continui e periodici monitoraggi clinici e farmacologici, mettendo in dubbio la serietà e la professionalità, scevra da interessi personalistici, di stimati medici e ricercatori.

Eppure ancora una volta mi ritengo estremamente fortunato, poiché nella mia malattia mi affianca da sempre una grande passione, quella per il ciclismo. “Grazie” all’attività sportiva, ovvero in seguito alla comparsa graduale di un calo nelle prestazioni fisiche iniziai ad accorgermi nel 2002 che nel mio organismo qualcosa non girava più come al solito, che il mio corpo cominciava a non rispondere come d’abitudine alle sollecitazioni cui lo sottoponevo con l’attività sportiva. Così iniziai a sottopormi ad accertamenti clinici e venne fuori la severità della patologia. Ma negli anni l’attività sportiva, ed il ciclismo in particolare, mi ha consentito, assieme alla molteplicità di trattamenti farmacologici, di conservare quell’equilibrio psico-fisico che oggi mi consente di essere qui. Grazie al protocollo d’intesa siglato tra il Ministero della Difesa e il Comitato Italiano Paralimpico nel 2014, io e tanti altri colleghi che hanno subito infermità permanenti siamo entrati a far parte del Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa, costituito proprio allo scopo del recupero psico-fisico e del reinserimento in un contesto sociale di militari che proprio a causa delle conseguenze subite si isolano e si chiudono tra le mure domestiche.

E’ lo stesso ciclismo che mi ha permesso, in tempi più recenti, grazie alla visibilita’ che una convocazione nella Nazionale Italiana di Ciclismo Paralimpico offre, di portare la mia storia, e insieme alla mia quella di tutte le Vittime dell’uranio, all’attenzione di un pubblico più vasto, dalle cronache poco informato, ma sicuramente interessato a comprendere il come e il perché di questa amara faccenda italiana. Noi Vittime, le nostre famiglie, meritiamo risposte perché il tempo dell’attenzione e della precauzione e’ ormai passato, i morti e i malati meritano riconoscimento e giustizia, così come la gente comune merita di sapere e di recuperare fiducia nelle Istituzioni.

L’essere stato convocato in audizione anche da questa Commissione Parlamentare credo possa essere il segno tangibile di come la mia esperienza rappresenti la memoria storica di un monitoraggio e di un’inchiesta che da anni ormai intendono gettare una luce chiarificatrice sui danni biologici e morali provocati dall’esposizione per ragioni di servizio ad uranio impoverito e nanoparticelle di metalli pesanti. Ciò è inoltre il segno tangibile della volontà di questa Commissione di definire finalmente una problematica che va avanti ormai da tanti anni, troppi.

In tal senso, noi Vittime siamo soddisfatte dei lavori della Commissione che finalmente hanno portato alla luce la verità, ma questo non ci ripaga di quello che viviamo quotidianamente e non ci darà giustizia, perché comunque i veri responsabili non saranno mai perseguiti per le loro colpe.

Nel ringraziare, mi rendo nuovamente disponibile a fornire il mio contributo ai lavori della Commissione, come fatto con la precedente, in qualità di “consulente esperto”.

Roma, 30 marzo 2016

 

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