GIUSTIZIA/BENEFICI ONU. La Corte Costituzionale nega il diritto alla campagne di guerra

 

flag onuBENEFICI ONU (Pronuncia Corte Costituzionale nr. 240/2016).

Roma, 14 nov 2016 – La Corte Costituzionale nega il diritto alla campagne di guerra. Una sentenza che alimenta l’ingiustizia nei confronti dei gradi più bassi e favorisce i vertici militari

Ci troviamo oggi, nostro malgrado, a commentare un recentissimo intervento della Corte Costituzionale in merito ai benefici ONU e, più in particolare, alla legge che avrebbe dovuto estendere ai militari che hanno partecipato alle numerose missioni fuori area, la supervalutazione dei periodi di missione ai fini previdenziali (buonuscita pensione e anticipo del collocamento in congedo).

In estrema sintesi riassumeremo il panorama normativo e giurisprudenziale che ha coinvolto la materia, evidenziando le ragioni per cui riteniamo che la pronuncia del Supremo Consesso debba ritenersi per nulla convincente e sotto taluni profili fortemente sperequativa.

La legge 11 dicembre 1962 n. 1746 stabilisce il riconoscimento dei benefici combattentistici ai militari che partecipano alle missioni svolte per conto dell’ONU e indicate in un elenco pubblicato periodicamente dal Ministero della difesa.

Tuttavia la legge non definisce però quali debbano essere i benefici combattentistici e nemmeno esistono definizioni normative che forniscano indicazioni al riguardo.

Per l’individuazione dei benefici combattentistici occorre, quindi, effettuare una operazione interpretativa con riguardo alla individuazione dei diritti riconosciuti ai soggetti che hanno combattuto nei due conflitti mondiali.

Il Ministro della Difesa da sempre ha negato il riconoscimento dei benefici derivanti dalla legge n. 390/1950 che riconosce appunto le campagne di guerra ovvero una maggiorazione figurativa ai fini previdenziali dei periodi trascorsi come combattente nel secondo conflitto mondiale.

Per contro, lo stesso ministero, riconosceva, e tutt’oggi riconosce in relazione alle odierne missioni ONU, i benefici relativi al r.d. nr. 1427 del 1922 (relativo al primo conflitto mondiale), che stabilisce, in sintesi, che per i militari impiegati nella prima guerra mondiale, il periodo di impiego vale il doppio al fine della maturazione delle progressioni economiche.

L’INPDAP, inizialmente, riconosceva a tutti i militari le campagne di guerra e permetteva il riscatto ai fini della indennità di buonuscita. Successivamente, però decideva di cambiare orientamento disconoscendo tale beneficio.

Contrariamente a quanto affermava il Ministero e L’Ente Previdenziale, la Corte dei Conti si pronunciava, invece, nella quasi totalità delle pronunce, riconoscendo le campagne di guerra ai militari che hanno svolto le citate missioni ONU. Anche i TAR si orientavano per il riconoscimento delle menzionate campagne di guerra in relazione alle Missioni ONU.

Ciò nondimeno, nel quadro normativo e giurisprudenziale sopra esposto, il Consiglio di Stato interveniva negando li diritto alle campagne di guerra (C.d.S. 5172/2014) e riconoscendo solamente i benefici derivanti dal sopra menzionato r.d. nr. 1427 del 1922 (supervalutazione del periodo di missione ai fini delle progressioni economiche).

Il T.A.R. Friuli ed Abruzzo, ritenendo di non condividere la posizione del Consiglio di Stato, sollevavano la questione di legittimità Costituzionale, sostenendo che i benefici relativi alle campagne di guerra di cui alla legge n. 390/1950 dovevano essere riconosciuti anche ai militari delle missioni ONU indicate nell’elenco Ministeriale, in virtù delle equiparazione delle condizioni di rischio bellico tra il secondo conflitto e le missioni internazionali svolte per conto ONU.

La Corte Costituzionale si è, quindi, pronunciata con la sentenza n. 240/2016 affermando che l’interpretazione del Consiglio di Stato debba ritenersi costituzionalmente legittima, ovvero che le campagne di guerra relative al secondo conflitto mondiale non rientrano tra i benefici combattentistici da riconoscere ai militari che partecipano alle missioni internazionali svolte per conto ONU.

Ebbene, non può negarsi che la Suprema Corte sia giunta alla sua conclusione effettuando una ricostruzione sistematica particolarmente articolata del quadro normativo relativo ai benefico combattentistici, avvalendosi altresì dei lavori parlamentari di alcune norme citate da quali avrebbe dedotto le effettive intenzioni del legislatore.

Al fine di una immediata comprensione anche agli occhi dei profani del diritto, ci sia premessa una estrema sintesi ricostruttiva delle ragioni addotte dalla Corte:

– La legge 11 dicembre 1962 n. 1746, che riconosce i benefici combattentistici in relazione alle missioni ONU, si riferisce ad un periodo storico in cui il parlamento ha dovuto affrontare situazioni nuove per il tempo (l’uccisione di numerosi militari italiani impiegati in Kindu, ex Congo belga, avvenuta nel novembre de 1961);

– i lavori parlamentari del Codice dell’Ordinamento Militare evidenziano che il riferimento alle campagne di guerra andrebbe fatto solo nell’ipotesi in cui si venga a determinare un nuovo conflitto bellico;

– il legislatore avrebbe esplicitamente indicato quali sarebbero stati i benefici combattentistici estesi al personale che svolge missioni per conto ONU;

– e, in conclusione, per le odierne missioni internazionali svolte per conto ONU, il legislatore riconoscerebbe già adeguati benefici previdenziali ed economici non ultime degli adeguati trattamenti di missione che compenserebbero il disagio delle missioni in argomento.

Ebbene, fin qui nulla da eccepire, argomentazioni valide, ricostruzione normativa particolareggiata ed accurata evidenziazione della ratio legislativa delle norme invocate. La pronuncia pone finalmente luce ad un argomento che era caduto nel nebbioso ed ambiguocontrasto interpretativo derivante dalle posizioni della giurisprudenza amministrativa, pensionistica e dell’ente previdenziale e ministeriale.

Un solo appunto ci sia permesso, sia pure con il più ampio ossequio che possiamo e dobbiamo avere per l’Illustre Consesso:

– se è vero che le missioni internazionali svolte per conto ONU non possono essere equiparate al secondo conflitto mondiale a cui si riferisce la legge sulle campagne di guerra,

– se è vero che dalla ricostruzione normativa operata dalla Corte emergerebbe una definizione di combattente che non permetterebbe l’estensione delle campagne di guerra,

– se è vero che che la legislazione già riconosce ai militari impiegati nelle precitate missioni un congruo riconoscimento sotto forma di trattamento di missione, differenziato a seconda del tipo di missione,

– e, dunque, se le premesse sopra indicate sono vere e corrette, per quale ragione dovrebbero applicarsi invece i benefici combattentistici di cui al r.d. nr. 1427 del 1922 (progressioni economiche anticipate) che sono evidentemente riferiti alla prima guerra mondiale?

Si consideri ancora che i benefici derivanti da tale regio decreto, a detta dello stesso Consiglio di Stato, possono essere riconosciuti solamente al personale militare dirigente ed ufficiale omogeneizzato in quanto sono gli unici a godere di progressioni economiche (scatti, classi).

Da tali benefici sono esclusi invece tutti gli altri militari, graduati, sottufficiali e ufficiali non dirigenti e non omogeneizzati.

Un ulteriore appunto, se il legislatore già riconosce un congruo riconoscimento del disagio relativo alle missioni per conto ONU su cui si argomenta, con un appropriato trattamento di missione, per quali ragioni dovrebbe invece riconoscere, in aggiunta, anche i benefici economici di cui al r.d. n. 1427/1922?

Ed ancora, non è assolutamente vero che al restante personale non dirigente non sono riconosciute delle progressioni economiche poiché, anche per il restante personale militare, ci sono emolumenti che variano con la maturazione di scatti legati all’anzianità di servizio (si vedano i parametri, gli assegni funzionali e le indennità operative), per quale ragione il r.d. n. 1427/1922 non dovrebbe essere applicato anche in relazione a tali emolumenti?

Alla luce delle osservazioni ora illustrate non possiamo che manifestarci profondamente perplessi per l’effetto prodotto dalla pronuncia costituzionale che, all’atto pratico, legittima una sperequazione che riteniamo inaccettabile giacché, da sempre, e incontestabile che in ogni impiego bellico, e non ultimo nelle missioni internazionali odierne, che, notoriamente, espongono i nostri militari a rischi ugualmente bellici (ancorché non dichiarati per pudoresquisitamente politico), i militari che si espongono effettivamente ai rischi di incolumità fisica(per non tacere delle conseguenze psicologiche) sono prevalentemente – quando nonesclusivamente – quelli dei ranghi più bassi, ossia proprio coloro che in virtù della legittimazione conseguente alla pronuncia in commento, continueranno a subire una ingiusta e penalizzantesperequazione.

E’ per tali ragioni che riteniamo che la pronuncia in commento si manifesti ingiusta, irrazionale e sperequativa.

Ciò nonostante, non possiamo nemmeno negare l’autorità che viene riconosciuta a tale sentenza nel nostro ordinamento, e le conseguenza che produrrà sul piano processuale dei contenziosi pendenti e di di quelli futuri.

Non rimane che analizzare in modo più approfondito la pronuncia in commento al fine di valutare se vi sono i presupposti di procedere con le azioni contenziose organizzate e, quindi, proseguire i giudizi nella prospettiva di un ricorso presso la Corte Europea dei diritti dell’Uomo nella speranza che, almeno l’organo di giustizia internazionale, si dimostri sensibile all’irrazionale assetto normativo che si è determinato in Italia con riguardo alle ingiustificate e penalizzanti differenze di trattamento tra i gradi apicali delle forze armate e le altre categorie di militari. A cura del Centro Studi Diritto Militare – Sideweb – www.forzearmate.org – www.sideweb.it

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