L’infinita questione degli F35B italiani

Roma, 19 Apr 2019 – (Pubblichiamo un estratto del seguente articolo da leggere nella sua completezza collegandosi al link indicato a fine paragrafo) – di Tiziano Ciocchetti – Come è noto l’Arma Azzurra non ha alcun background nell’utilizzo di velivoli ad atterraggio verticale!. Segue. – Nel maggio del 2002 il Parlamento approva l’ingresso dell’Italia nel programma F-35, come partner di secondo livello. Il ritorno industriale previsto per il nostro Paese – nella sola fase SDD (System Development and Demonstration) – era di circa 800 milioni di euro.

I partner sono stati divisi a seconda degli investimenti effettuati per la fase di sviluppo. Il livello 3, il più basso, includeva il Canada (con un contributo di 150 milioni di dollari); la Danimarca e la Norvegia (125 milioni ciascuna); la Turchia (150 milioni) e l’Australia (150 milioni).

Del secondo livello fanno parte i Paesi Bassi (800 milioni) e l’Italia (1.028 milioni da spalmare in 10 anni). Il Regno Unito è invece un partner di primo livello grazie a un investimento par a 2,3 miliardi di dollari.

Quando si parla di programmi aeronautici, specialmente se assai complessi e sofisticati, i rischi di ritardi nelle consegne, nonché di incrementi dei costi, aumentano in maniera esponenziale.

Infatti, il primo F-35A italiano, assemblato nello stabilimento FACO (Final Assembly and Check Out) di Cameri – proprietà del Governo italiano ma gestita da Alenia Aermacchi in partnership con la Lockheed Martin -, riesce a compiere il primo volo inaugurale solamente nel 2015.

Quello del velivolo italiano è stato il primo volo di un F-35 al di fuori degli Stati Uniti. Mentre la versione B ha compiuto il primo volo ufficiale il 30 ottobre 2017. L’articolo completo prosegue qui >>> http://www.difesaonline.it/mondo-militare/la-rogna-furbescamente-rimandata-degli-f35b-italiani

Condividi questo post