“Una Europa islamofobica. È quello a cui puntano i “califfi” jihadisti

 

Tra i principi evocati dai manifestanti di Parigi, tra le sfide lanciate ai seminatori di morte, assile alla difesa, senza se e senza ma, della libertà di espressione, c’è, non meno importante, la sfida, l’impegno per l’integrazione. Una sfida che non può che partire dall’Europa, e in essa, da quei Paesi, tra i quali la Francia, dove la società è sempre più multietnica. E questo, è bene ricordarlo, è un processo irreversibile. Questo, è bene aggiungere, è una ricchezza e non una minaccia, per l’Europa, perché un confronto con altre culture, con altre tradizioni, quando non ha come obiettivo una forzata omologazione, è un arricchimento per l’intera comunità nazionale. Integrazione. E’ contro questa prospettiva che si scagliano i “guerrieri di Allah”. Perché è di questa Europa che essi hanno paura, e non dell’Europa che prova a mostrare i muscoli, ad alzare Muri, a erigere trincee.

Il propagarsi dell’islamofobia favorisce la loro campagna di proselitismo. “”Quello che vogliono – riflette Tariq Ramadan in una intervista a euronews – – è nutrire l’islamofobia, nutrire questo senso di alienazione e di frustrazione. Ecco perché dobbiamo fare attenzione, questo è quello che vado dicendo ai musulmani di tutto il mondo, fate esattamente l’opposto di ciò che vorreste fare, ma non isolatevi, non state ai margini, socializzate, siate visibili, alzate la voce, siate la voce di chi non ce l’ha, della silenziosa maggioranza contraria a ciò che sta accadendo”. E ancora: “Passo il 90% del mio tempo a cercare di far capire ai media cosa l’Islam non è, nessuno mi chiede di dire invece cosa è l’Islam, quali siano i suoi valori, la spiritualità che condividiamo. Vengo sempre messo sulla difensiva, “mi dica perché lei non è un pericolo?” Perché non si vuole invece che io dica perché sono un valore aggiunto per questa società, che cosa posso portare? La percezione dei musulmani in Occidente è sempre del tipo “o fai apologia oppure sei sulla difensiva”. Dobbiamo smettere di parlare in questo modo a noi stessi: in fin dei conti, io sono occidentale quanto lei e sono una parte musulmana del nostro futuro.”Una Europa islomofobica è quella che vorrebbero i tanti “califfi” che agiscono nel Grande Medio Oriente, molti dei quali prodotti dello stesso Occidente, non solo per scellerate avventure militari come le due guerre irachene, ma anche per l’applicazione sul campo del vecchio assunto secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Così è stato per Saddam Hussein, armato dall’Occidente, anche con i gas con i quali ha massacrato i curdi, quando il “macellaio di Baghdad” era visto come un argine alla penetrazione khomeinista in Medio Oriente. E così è stato per Osama bin Laden e i suoi protettori Talebani, quando servirono per combattere l’esercito sovietico in Afghanistan.

In questi giorni di rabbia e di dolore è imperativo ragionare. Ragionare e non cavalcare l’insicurezza e la paura che può impadronirsi di ognuno di noi. Ragionare significa, ad esempio, fare i conti con gli errori commessi dall’Occidente, Usa ed Europa in primis, agli albori della guerra in Siria, quando quella rivolta popolare s’inquadrava ancora in quell’evento epocale che è stata, e che rimane, la “Primavera Araba”. “La nuova generazione – rimarcava allora Olivier Roy, tra i più autorevoli studiosi francesi dell’Islam radicale – non è interessata all’ideologia: scandisce slogan pragmatici e concreti (“erbal”, via subito) ed evita richiami all’Islam, come succedeva invece in Algeria alla fine degli anni Ottanta. Rifiuta la dittatura e chiede a gran voce la democrazia”. Erano i ragazzi della “rivoluzione dei gelsomini” in Tunisia, erano i ragazzi di Piazza Tahrir in Egitto. Erano i loro coetanei siriani che scendevano nelle strade per invocare libertà e democrazia, ricevendo in cambio fucilate da parte dell’esercito di Bashar al-Assad. La crescita del fondamentalismo, e delle sue componenti più estreme, è venuta “contro” e non “grazie” quelle rivolte. L’inverno jihadista non è la naturale successione alla Primavera araba. I leader occidentali l’hanno capito troppo tardi, se davvero l’hanno capito. La rottura del 2011 è nell’emergere di istanze di libertà che raccontano di un Islam plurale, in cui è possibile provare a coniugare modernità e tradizione. L’agenda delle rivoluzioni post-islamiste, i suoi attori principali, non avevano nulla a che vedere con il paradigma politico integralista. Volevano “globalizzare” i diritti, non la jihad. Sono stati abbandonati dall’Occidente, e attaccati dall’Islam radicale armato. Ma quei giovani, milioni di giovani, non sono svaniti nel nulla, tanto meno hanno ingrossato le file dell’Esercito islamico o rafforzato i mille tentacoli della “piovra” qaedista. Sono loro l”investimento sul futuro. Sono le organizzazioni della società civile che vivono in tanti Paesi arabi e musulmani, e che combattono, con le “armi” della non violenza, regimi teocratici e feroci tagliagole i cui capi – dal Califfato islamico di Siria e e Iraq, alla martoriata, e colpevolmente dimenticata, Nigeria dei criminali di Boko Haram – chiedono loro di scegliere tra “fede e democrazia”. L’articolo prosegue qui >>> http://www.huffingtonpost.it/umberto-de-giovannangeli/europa-islamofobica-quella-a-cui-puntano-_b_6451228.html?utm_hp_ref=italy

 

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