Roma, 24 Ago 2020 – (Pubblichiamo un estratto del seguente articolo da leggere nella sua completezza collegandosi al link indicato a fine paragrafo) – di Marco Bertolini – La crescente insoddisfazione politica, economica e militare in Mali che ci riguarda più da vicino di quanto non sembri: non possiamo sottostimare i rischi dell’invio di militari. Segue. – Il recente colpo di Stato che in Mali ha deposto il presidente Ibrahim Boubacar Keita e il primo ministro Boubou Cisse pare mosso da sentimenti diffusi nel Paese da parte di larghi strati di popolazione.
Lo proverebbero le crescenti contestazioni popolari che l’hanno preceduto, delle quali sembra ispiratore il carismatico Imam Mahmoud Dicko, contrapposto a Keita per un insieme di ragioni, sia politiche che personali.
Sotto il profilo più spiccatamente operativo, invece, ha certamente giocato un ruolo importante anche la palese stanchezza dell’esercito per una lunga guerra nell’Azawad, la parte settentrionale della “clessidra” maliana nella quale vengono continuamente sacrificate le vite di molti soldati, e la scelta di cooperare con alcune milizie Touareg contro lo Stato Islamico del Grande Sahara (Isgs), recependo in ritardo quella che era una proposta dello stesso Dicko ma amplificandone gli effetti negativi nei confronti di altre realtà da sempre più vicine al governo e trascurate.
Un altro indizio della natura “popolare” del sollevamento potrebbe essere indicata dal grado dei capi del putsch militare, guidati dal colonnello Assimi Goita, insediatosi a capo di un autoproclamato Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Cnsp) e già comandante delle Forze speciali maliane. L’articolo completo prosegue qui >>> https://formiche.net/2020/08/le-sfide-dellimpegno-italiano-nel-sahel-secondo-gen-bertolini/