Pubblico impiego, il potere d’acquisto è crollato del 7,2%. Tra scatti e rinnovi contrattuali congelati si allarga la forbice con i dipendenti privati

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Roma, 18 ago 2013 – La magra consolazione è che adesso, almeno, non dovranno più essere accompagnati dalla riprovazione popolare che li bollava tutti, indistintamente, come fannulloni privilegiati rispetto agli altri lavoratori. Se c’è qualcosa di buono, nella dieta che il governo impone loro da ormai 7 anni (e che proseguirà per tutto il 2014 e forse oltre se il governo non troverà risorse), è il fatto che il blocco degli stipendi mette gli statali sullo stesso piano dei privati. Anzi, un gradino sotto.

IL DIVARIO
Lo sottolinea l’Istat nei documenti ufficiali dove si legge, tra l’altro, che nel primo bimestre del 2013 le retribuzioni degli italiani sono cresciute dell’1,4% rispetto al corrispondente periodo del 2012. E che i settori che presentano gli incrementi tendenziali maggiori sono: alimentari, bevande e tabacco (3,6%), tessili, abbigliamento e lavorazioni pelli (2,8%), pubblici esercizi e alberghi (2,7%). «Variazioni nulle, invece, per tutti i comparti della pubblica amministrazione» sottolinea l’ufficio di statistica imprimendo una certificazione istituzionale al fenomeno


 

MARCIA INDIETRO
A conti fatti, inoltre, l’apparente stabilità dei salari vuol dire in realtà fare una paurosa retromarcia sul piano della sostenibilità sociale e del vivere quotidiano. Perché tra il 2010 e il 2012 gli statali hanno perso l’1,6% del valore degli stipendi. E rispetto ai tassi di inflazione registrati nel corso del triennio, il loro potere di acquisto (fiaccato dalla corsa dei prezzi) ha conosciuto una erosione pari al 7,2%. Che in soldoni fa circa 2 mila e 500 euro a testa di salario reale sacrificato sull’altare del contenimento della spesa pubblica. A forza di tagli, le casse dello Stato realizzeranno alla fine del 2013 un risultato sconosciuto negli ultimi 34 anni: il livello più basso di spesa per le retribuzioni degli statali. Vale a dire 162 miliardi di euro: più o meno l’11% del Pil. Che confrontati con i 172 del

 

2010, vogliono dire un risparmio di 10 miliardi di euro. Certo, i ragionamenti che si fanno sugli statali devono tenere conto delle grandi differenze che ci sono nel mazzo dei poco più di 3 milioni di dipendenti (erano 3,6 milioni nel 2006 ).

CRISI SENZA FINE
La forbice delle retribuzioni va dai 178 mila euro dei magistrati fino ai dipendenti di regioni e autonomie locali che incassano 28,9 mila euro. Ma è un fatto che per tutti i generosi aumenti degli inizi del 2000 siano solo un pallido ricordo. Per dare un’idea, tra il 2001 e il 2009 il costo dei salari del pubblico impiego, al netto dell’inflazione, era aumentato di 13 miliardi, con un incremento dell’8,3%. E le differenze travet-privati, in quella lunga fase temporale, si sono allargate a dismisura. Anche a causa dell’aumento dell’anzianità media dei dipendenti pubblici (in quanto gli stipendi del comparto sono molto legati all’anzianità di servizio ). Vale ricordare che nel decennio 2000-2010 l’aumento cumulato dei salari degli statali è stato di 15 punti superiore rispetto ai lavoratori del privato. Tanto che un paio di anni fa, un’indagine di Bankitalia confermò che in quel periodo gli aumenti retributivi del settore privato non avevano superato il 4% al netto dell’inflazione. Euro più, euro meno, la metà rispetto agli aumenti del settore pubblico. Tempi ormai tramontati, dunque. E sostituiti con un livellamento generale al ribasso particolarmente punitivo per la scuola. Secondo i dati della ragioneria dello Stato, il costo medio dei docenti (39 mila euro), già il più basso tra i ministeri, è stato ulteriormente ridotto del 2,2% nell’ultimo anno. E secondo i calcoli della Uil, dal ’95 ad oggi gli insegnanti hanno lasciato sul campo più del 20% del loro potere d’acquisto.Fonte: http://www.ilmessaggero.it

 

 

 

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